Traduzione in italiano dell'articolo 'Venezuela: Where the Wealthy Stir Violence While the Poor Build a New Society' pubblicato su Creativetimereport, April 28, 2014

Venezuela: dove i ricchi fomentano la violenza e i poveri costruiscono la nuova società

L’artista e documentarista Dario Azzellini sostiene che le proteste in Venezuela rappresentano un feroce attacco al progresso sociale del paese ottenuto durante il governo di Hugo Chávez, incoraggiato da politici anti-chavisti che vivono nelle zone dei benestanti.

Prima che Hugo Chávez diventasse presidente del Venezuela nel 1999, i barrios di Caracas, costruiti alla buona sulle colline che circondano la capitale, non comparivano nemmeno sulla mappa della città.

Ufficialmente non esistevano, per cui né il comune né lo stato si occupavano delle loro infrastrutture. Gli abitanti poveri di questi quartieri ottenevano acqua ed elettricità allacciandosi da sé a tubature e cavi. Erano completamente privi di accesso a servizi come la raccolta dei rifiuti, l’assistenza sanitaria e l’istruzione.

Oggi i residenti degli stessi barrios stanno organizzando le loro comunità attraverso assemblee basate sulla democrazia diretta, note come consigli comunali, che in Venezuela oggi sono oltre 40.000. Famiglie di lavoratori si sono unite per fondare spazi comunitari e cooperative, coordinare programmi sociali e ristrutturare case nel loro quartiere, basando la loro azione su principi di solidarietà e collettivismo. E il loro desiderio di organizzarsi ha trovato sostegno da parte del governo, soprattutto con la Legge dei Consigli Comunali, promulgata da Chávez nel 2006, che ha portato alla formazione delle comuni, organismi capaci di sviluppare progetti sociali su più larga scala e nel lungo periodo.

Non sentirete parlare dei barrios che si autogovernano nel racconto occidentale delle proteste che stanno attraversando il Venezuela. Secondo la narrativa dominante, studenti di tutto il paese stanno manifestando contro una terribile situazione economica e un alto tasso di criminalità, con il solo risultato di essere brutalmente repressi dalle forze governative.

Eppure la violenza di strada che ha catturato l’attenzione del mondo ha avuto luogo prevalentemente in poche zone isolate – i quartieri benestanti di città come Caracas, Maracaibo, Valencia, San Cristóbal e Mérida – e non nei barrios in cui vivono i poveri e la classe lavoratrice del Venezuela.

A dispetto di quanto dicono i mezzi d’informazione internazionali, la grande maggioranza degli studenti venezuelani non sta protestando. Neanche un terzo delle persone arrestate, in relazione alle manifestazioni violente dall’inizio di febbraio, è costituito da studenti, sebbene il Venezuela conti più di 2.600.000 studenti universitari (a fronte dei 700.000 circa del 1998), grazie al sistema universitario pubblico e gratuito creato dal governo Chávez.

Un’occhiata ai recenti arresti rivela che i leader delle “proteste” sono in realtà un misto di trafficanti di droga, paramilitari ed effettivi di compagnie militari private: in altre parole, i mercenari tipici di qualsiasi operazione militare di destabilizzazione della CIA. Nel Barinas, lo stato meridionale al confine con la Colombia sono stati arrestati due organizzatori di barricate pesantemente armati, uno dei quali è Hugo Alberto Nuncira Soto, oggetto di un mandato di cattura dell’Interpol per la sua affiliazione agli Urabeños, un gruppo paramilitare colombiano coinvolto in traffico di droga, contrabbando, omicidi e massacri.

A Caracas i fratelli Richard e Chamel Akl, titolari della compagnia militare privata Akl Elite Corporation, che rappresenta la filiale venezuelana della CMP Risk Inc., sono stati arrestati alla guida di un veicolo corazzato in possesso di armi da fuoco, esplosivi ed equipaggiamento militare. La loro auto era stata munita di tubi attivabili dall’interno per disperdere olio lubrificante e chiodi sulla strada, per non parlare delle granate lacrimogene, le bombe fatte in casa, le pistole, le maschere antigas, i giubbotti antiproiettili, i dispositivi per la visione notturna, le taniche di benzina e i coltelli.

Dopo la morte di Chávez nel marzo del 2013, i politici dell’opposizione del Venezuela hanno visto l’occasione per vincere le elezioni presidenziali, pensando forse che alla gente interessasse solo il famoso carisma di Chávez. Invece il principale esponente dell’opposizione, il governatore dello stato Miranda Henrique Capriles Radonsky, ha perso contro il successore di Chávez, Nicolás Maduro.

Essendo stata sconfitta in 18 elezioni su 19 a partire dal 1998, una parte dell’opposizione ha deciso di non sperare più in una vittoria elettorale, ma di destabilizzare il paese e cacciare con la violenza il suo governo eletto. Quasi sempre i municipi in cui si verificano le rivolte sono governati da sindaci anti-chavisti che le sostengono, o partecipando in prima persona alle azioni violente, o ignorando le barricate difese con bombe molotov e armi da fuoco, anziché fare intervenire la polizia municipale, e trascurando la raccolta dei rifiuti in modo da spingere le classi medie alla rivolta.

Quello che temono i ricchi in Venezuela, e che i canali di informazione mainstream scelgono di non mostrare, è che un mondo diverso è possibile, e la classe lavoratrice venezuelana si sta sforzando di costruirlo. Questo è il vero motivo per cui il paese è sotto attacco. E bando agli equivoci: questo è un feroce attacco al Venezuela, le sue infrastrutture e le sue stesse fonti di speranza.

Il 1° aprile un gruppo di rivoltosi ha dato alle fiamme il Ministero dell’Edilizia con bombe molotov mentre 1.200 lavoratori erano all’interno dell’edificio. Il fuoco è stato appiccato vicino alla nursery del ministero, e 89 bambini hanno dovuto essere evacuati dai pompieri. Questo episodio di violenza omicida non è un’anomalia. Nelle ultime settimane un’università è stata alle fiamme, così come è successo ad asili, stazioni della metropolitana, autobus, centri medici, centri di distribuzione di prodotti alimentari, uffici di informazione per turisti e altri spazi civici. A Mérida un serbatoio di acqua potabile è stato deliberatamente contaminato con del carburante, e a Caracas la riserva naturale a nord della città è stata incendiata per distruggere le linee elettriche che riforniscono la città di corrente.

Questi attacchi seguono la stessa logica impiegata dai Contras in Nicaragua con il sostegno degli USA: assaltare bersagli facili che simboleggiano i miglioramenti delle condizioni di vita realizzati dal governo o dalle comunità organizzate e dunque distruggere la speranza che esista un’alternativa al dominio del capitale. Eppure ci sono abbondanti motivi per essere ottimisti in tal senso.

Nazionalizzando le sue riserve di petrolio e gas, e investendo la maggior parte del suo bilancio in programmi sociali, il Venezuela è diventato l’unico paese del mondo ad aver raggiunto gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’ONU per il 2015 prima della data, ed è improbabile che altri paesi possano raggiungere questi obiettivi. Il tasso di povertà in Venezuela è stato più che dimezzato dal 1998, e la povertà estrema è stata ridotta del 70%. Oggi la disuguaglianza è più bassa che in qualsiasi altro luogo dell’America Latina e dei Caraibi (per non parlare degli Stati Uniti). La maggioranza delle persone in Venezuela stanno molto meglio oggi rispetto a prima che Chávez fosse eletto.

Indubbiamente il Venezuela sta attraversando una situazione economica difficile; ha sofferto di un’alta inflazione e di serie insufficienze nella distribuzione di cibo ed elettricità nell’ultimo anno. Se è vero che la cattiva gestione e la corruzione rappresentano aspetti problematici, come lo stesso governo ha ammesso, le insufficienze di cui sopra sono state causate principalmente da speculazione, contrabbando, e un’intenzionale riduzione della produzione e accumulo dei prodotti fondamentali nei magazzini da parte del settore privato, proprio come accadde prima del colpo di stato sponsorizzato dagli USA in Cile del 1973. Nonostante questo, un rappresentante dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha sottolineato gli ammirevoli sforzi del governo venezuelano per aumentare l’impatto dei programmi sociali.

Nel 2013 la FAO ha ufficialmente riconosciuto il Venezuela come uno dei 18 paesi nel mondo ad aver realizzato enormi progressi nella riduzione della malnutrizione, che è crollata da un tasso del 13,5% nel 1990-92 a meno del 5% nel 2010-12.

Ecco perché milioni di venezuelani continuano a vivere la propria vita normalmente, anche se gli effetti delle crisi economiche colpiscono sempre prima di tutto i poveri. I dimostranti dal comportamento violento che ricevono copertura mediatica a livello internazionale appartengono o sono legati alle classi meno colpite dalla carenza di prodotti e dall’inflazione. La maggior parte degli studenti del Venezuela, decisamente, non stanno protestando. Ma, a dirla tutta, quasi nessuno in Venezuela sta protestando: piuttosto, costoro,  stanno provando a fomentare la guerra.


* dal sito creativetimereports.org



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