Venezuela. Il controllo operaio
Nei primi anni della presidenza Chávez, quella del controllo operaio era un’idea
sostenuta solo da un piccolo gruppi di lavoratori e dallo stesso Presidente, che di quando in quando si dichiarava a suo favore. Le nazionalizzazioni nel settore industriale sono iniziate solo nel 2005, e in un primo momento sono state una risposta alle occupazioni di fabbriche e alle manifestazioni dei lavoratori e delle lavoratrici.
Una politica sistematica di nazionalizzazioni, soprattutto nella filiera della produzione, lavorazione e commercializzazione degli alimenti, è cominciata solo nel 2007-2008. Tuttavia si trattava quasi esclusivamente di statalizzazioni che nella maggior parte dei casi non cambiavano le relazioni sociali di produzione, né abolivano lo sfruttamento capitalista, e non prevedevano neanche il controllo operaio delle fabbriche. Questo nonostante fosse stato annunciato che nelle industrie nazionalizzate e nelle nuove fabbriche, la proprietà sarebbero stata direttamente sociale, ovvero che sarebbero state controllate direttamente dai lavoratori e dalle comunità locali. Tuttavia, la maggior parte delle industrie di Stato in Venezuela non sono controllate dai lavoratori e dalle lavoratrici e/o dalle comunità, ma sono sotto il controllo dello Stato. Di conseguenza in quasi tutte le industrie nazionalizzate e in altri settori ed enti dello Stato, si sono sviluppate le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici per una maggiore partecipazione diretta, e in alcuni casi in una prospettiva di vero e proprio controllo operaio.
Nel governo non esiste un’unica posizione a proposito del controllo operaio, ci sono piuttosto diverse visioni parallele. Una è quella che si rifà alla prospettiva del defunto socialismo reale del XX secolo: Il controllo operaio in questo caso è visto come un modo per garantire che nelle industrie vengano seguite le direttive dello Stato, che a loro volta sono considerate come espressione del bene comune. Tuttavia dentro lo stesso apparato statale ci sono anche delle correnti che appoggiano il controllo operaio nel vero senso della parola. Insomma le contraddizioni e la lotta di classe sono entrate all’interno del governo stesso, dello Stato e delle sue istituzioni.
Chávez per esempio, a partire dal 2006-2007 ha fatto diversi appelli perché si costituissero dei Consejos Socialistas de Trabajadores y Trabajadoras (Cst). Le istituzioni però hanno iniziato a diffonderli solo a partire dal 2009-2010 e inoltre, nella maggior parte dei casi, snaturando la loro intenzione originaria. Nelle istituzioni cercano di impedire la costituzione dei Cst, e nelle industrie dello Stato tentano di cooptare i Cst, senza permettere che ci sia una vera partecipazione delle basi lavoratrici nella gestione, e attribuendogli funzioni rappresentative e rivendicative. Tutto questo paradossalmente ha trasformato i Cst in un ulteriore strumento della lotta per il controllo operaio.
A livello governativo un alleato strategico die lavoratori e delle lavoratrici nella lotta per il controllo operaio è stato proprio il presidente. Chávez ha più volte lanciato iniziative personali per promuovere le espropriazioni e il controllo operaio in diverse industrie (Inveval, Sanitarios Maracay e altre), ha promosso la costituzione dei Cst e l’elaborazione del Plan Guyana Socialista 2019 per sottoporre al controllo operaio le industrie statali di base. Quando ha visto che non si metteva in moto, nel maggio del 2010 ha nominato alla presidenza delle fabbriche dei lavoratori scelti dai gruppi di operai organizzati. Tutte queste iniziative hanno rafforzato il movimento per il controllo operaio, e allo stesso tempo la promozione del Plan Guayana Socialista ha generato uno dei conflitti più profondi all’interno del governo e nel processo bolivariano dal 1999.
Benché i lavoratori-presidenti delle industrie di base siano stati scelti tra i lavoratori militanti, hanno finito quasi tutti per rispondere agli interessi dei settori corrotti dei sindacati legati al Frente Socialista Bolivariano de Trabajadores (Fsbt) il quale a sua volta risponde a potenti settori del governo che, per mezzo di scioperi illegali, violenze, aggressioni fisiche e qualsiasi altro mezzo a disposizione, si sono opposti al controllooperaio nelle industrie di base, dato che si arricchiscono grazie alla corruzione che imperversa nel vecchio modello di produzione. Il lavoratore Osvaldo León della Alcasa, industria produttrice di alluminio, testimonia che il conflitto in corso è parte di una lotta di classe, indicando la contraddizione centrale: «Si tratta di una battaglia tra chi di noi vuole veramente farla finita con le gerarchie, la divisione del lavoro e le relazioni mercantili, trasformando questa azienda in una proprietà del popolo, e quelli che invece vogliono mantenere intatte le relazioni sociali del capitalee del potere» (Prensa Marea Socialista 2011).
Come politica ufficiale dello Stato e non essendo nata dalle lotte, lo sviluppo del controllo operaio è molto lento e inoltre trova proprio nello Stato il suo ostacolo maggiore. Allo stesso tempo, dato che non c’è stato un crollo delle strutture produttive dovuto a una rivoluzione in senso classico o a una crisi economica come in Argentina, non si sono create neanche quelle condizioni nelle quali i lavoratori e le lavoratrici sarebbero stati «costretti» ad assumere il controllo delle fabbriche (nel caso di fabbriche sottoposte a serrate padronali, molte sono state occupate dai lavoratori). Insomma da un lato lo Stato promuove direttamente o indirettamente la lotta per il controllo operaio, ma dall’altra ne ostacola la materializzazione.
Ciononostante il movimento per il controllo operaio è cresciuto, soprattutto a partire dal 2008-2009, facendo diversi salti qualitativi e quantitativi. Con il Primer Encuentro Nacional por el Control Obrero y los Consejos de Trabajadores y Trabajadoras a Ciudad Guyana nel maggio del 2011, che ha visto la partecipazione di oltre 900 lavoratori e lavoratrici dei consigli operai, Cst, fabbriche occupate e sindacati, il movimento per il controllo operaio è riuscito a costruire un’ampia piattaforma nazionale e ha iniziato a sviluppare una serie di strategie e mobilitazioni nazionali. Oggi non esiste quasi neanche un’azienda o ente dello Stato in cui non vi sia una lotta per una maggiore partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici nella direzione.
Fino a questo momento il modello di maggiore successo nella democratizza- zione della gestione delle industrie è quello delle Empresas de Propiedad Social Comunal, che in genere vengono promosse localmente dallo Stato per creare unità produttive territoriali e aziende fornitrici di servizi per la comunità. Sono di proprietà collettiva della comunità mediante i Consejos Comunales o Comunas, che decidono anche sul modello organizzativo da seguire, sui lavoratori e sull’ utilizzo di eventuali profitti. Le industrie di Stato hanno iniziato a far proprio e a promuovere questo modello delle industrie comunali, e le comunità hanno iniziato a costruire aziende in molti rami, dalla produzione di alimenti e materiali da costruzione alla fornitura di servizi. Alla fine del 2009 erano state create 271 di queste aziende in tutto il paese, e in altre 1084 aziende le comunità partecipavano alla gestione insieme allo Stato1.
Oggi esistono ormai migliaia di imprese a livello comunale. Sono nate aziende di tutti i tipi, ma le nuove Eps comunali si occupano soprattutto del settore alimentare e della produzione di materiali da costruzione, dei trasporti e della fornitura del gas liquido. Questi sono anche i settori dove maggiori e più urgenti sono i bisogni delle comunità. Molte delle fabbriche di cemento di proprietà dello Stato promuovono la nascita di distributori comunitari di materiali da costruzione e di produttori di blocchi in calcestruzzo per la costruzione di case. In questo modo si è riusciti a ridurre la speculazione e ad abbassare i prezzi eliminando gli intermediari. L’industria petrolifera Pdvsa ha costruito una rete di distribuzione di gas liquido per le case chiamata Gas Comunal e sottoposta al controllo delle comunità locali. Il gas liquido in Venezuela è molto economico dato che viene prodotto in grandi quantità durante il processo di estrazione del petrolio, ma ciononostante anni fa la sua distribuzione era sotto il totale controllo delle imprese private che lo vendevano a prezzi molto alti. I prezzi delle bombole di gas in Gas Comunal si aggirano intorno al 20% del prezzo di mercato, inoltre è stato creato un nuovo tipo di bombola in plastica resistente che è molto più leggera delle bombole in acciaio usate dai privati. La Pdvsa aiuta le comunità nella costruzione e gestione dei centri di distribuzione e fornisce il gas stoccato in serbatoi, mentre le comunità si incaricano della distribuzione. In questo modo le comunità hanno anche la possibilità di decidere collettivamente se fornire il gas gratuitamente a persone in particolari condizioni di bisogno. In molti casi queste imprese sono riuscite a raggiungere un maggior equilibrio tra costi, efficienza e dimensioni sociali rispetto alle imprese statali e a quelle private.
Traduzione dallo spagnolo di Nicolas Martino
1. Aurelio Gil Beróes, Los Consejos Comunales deberán
funcionar como bujías de la economía socialista, in www.rebelion.
org/noticia.php?id=98094
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